... e incursioni di Sbronzolo...
...

martedì 12 marzo 2013

Guardo le tue donne.


Guardo le tue donne.
Da sempre, da tanto.
All’inizio non capivo. Non capivo te, non capivo loro. Non capivo cosa ti davano, cosa ricevevano.
Così stavo lontana. E sbirciavo. Poi ti sentivo commentare. Ci incrociavamo ogni tanto, frequentavamo gli stessi posti. E ti ascoltavo. Di nascosto, nell’ombra. Ascoltavo e bevevo le tue parole. Ed ero ancora più confusa.
Non ti capivo. Non riuscivo a mettere insieme quell’immagine di te da solo con quelle tue parole, con l’immagine di te con le tue donne. Stridevano. Era come se tu fossi due persone.
Poi… poi un giorno hai rivolto la parola a me. Sono rimasta così stupita che al primo momento non sapevo cosa dire. Ma non volevo perdere l’occasione. Dovevo, volevo trovare il modo di colpirti, di farmi apprezzare, di guadagnare la tua attenzione.
Nemmeno ricordo cosa dissi. Però ho ottenuto quello che volevo.
Abbiamo iniziato a incontrarci con maggiore frequenza. Ci siamo fermati a parlare di noi, di quello che facciamo, di quello che ci piace, di come viviamo, di cosa vorremmo, di cosa ci delude, di cosa ci fa piacere, di cosa ci ha ferito e di cosa ci potrebbe guarire… Ci siamo aperti insomma. E ci siamo avvicinati. Tanto. Forse troppo.
Ma ormai era fatta.
Lì ho iniziato a capire le tue donne, a metterle in relazione con te, a capire cosa ti davano, e avevano senso. Loro e le tue parole. Avevano senso. Erano perfette.
Poi il fuoco ci ha circondato. Ci ha riempito. Ci ha fatto crescere. E’ divampato senza controllo.
Non potevamo più resistergli.
Siamo finiti uno nelle braccia dell’altro. Le nostre anime si sono fuse. I nostri corpi si sono fusi, incastrati. Un incastro perfetto. Incredibilmente perfetto.
Abbiamo vissuto dei momenti intensi, in cui ci siamo sentiti vivi, in cui siamo rinati.
… forse per la prima volta…
… forse per l’ultima volta…
… forse solo io…
Ma abbiamo dovuto smettere di vederci.
Mi sono risvegliata in una realtà diversa. In cui tu non potevi entrare. In cui io dovevo essere un’altra. Non più la donna che sono stata con te. Un’altra me, più triste, più normale, più terrena.
Il mio mondo è diventato piccolo e buio. Grigio e opaco.
Abbiamo continuato ad incontrarci nei posti che frequentiamo. Ma abbiamo cercato di stare lontani, perché ogni parola detta, ogni sospiro, ci faceva male. Un male indicibile, insormontabile.
Risolvibile solo con un cambio drastico che avrebbe fatto crollare completamente la vita di uno di noi. La mia.
Non potevo.
Ho iniziato a non capire più le tue donne. A non vedere più il nesso. Perché non hai mai smesso di circondarti delle tue donne, in realtà. E’ una parte bella di te, la tua coerenza. Ma io non ti capivo più.
Non vedo più. Continuo a guardarti quando ti incrocio, ma ora è come se guardassi qualcuno che non conosco. Eppure tu sei coerente con te stesso.
Evidentemente sono io che non sono più la stessa, che sono cambiata.
O forse lo stare con te mi aveva cambiata, mi aveva reso libera. Mentre ora… ora ti guardo da lontano, dalla mia gabbia… e stento anche a riconoscere la me che sono stata.
Perché sono stata bene, sono stata viva, sono stata libera.
Però per quanto dolorosa la risoluzione… non c’era alternativa.
Essere la me che sono stata con te è stato meraviglioso. Stare con te è stato meraviglioso.
Per questo continuo a guardare le tue donne,  per ricordarmi del tempo in cui anch’io ero una di loro.

4 commenti:

  1. Scrivi molto bene.
    Bellissimo, nell'alternanza di sensazioni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. grazie, Wutternach... un po' diverso dai miei soliti... sensazioni invece di emozioni...

      Elimina
  2. una tigre in gabbia... è contronatura... o cambi il nickname o seghi le sbarre di acciaio... hai buoni artigli per farlo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. magari per effetto dell'addomesticamento gli artigli si sono ritratti...

      Elimina

Vuoi dirmi qualcosa?