Sono proprio di cattivo umore stamattina. Mi ci vorrebbe un
qualcosa per tirarmi su... Un dolcetto, un pasticcino, della cioccolata…
Col solito passo spedito e distratto entro come una folata di vento in
panificio, come tutte le mattine.
"Un filoncino, per piacere" dico senza nemmeno guardare
chi c’è dietro al banco, ho solo visto che non c’erano corpi prima di me,
quindi è il mio turno, “e ancheeeee…… un krapfen alla cioccolata!” aggiungo con
gli occhi fissi sulla vetrina dei dolciumi. Che poi dico sempre che questo sarà
l’ultimo krapfen alla cioccolata, ma quando sono di quest’umore è l’unica cosa
che mi tira su.
“Abitudine o necessità impellente?” la voce non è quella della
solita commessa: è una voce maschile, calda e sonora. Tiro su lo sguardo e
incontro due occhi marroni profondi e intensi con ciglia lunghe e nere, che mi
fissano. Per una frazione di secondo mi dimentico completamente del mondo
attorno e anche del cattivo umore. Mi perdo in questi occhi sorridenti che si
sono incollati ai miei. Sento un brivido.
“Vedo che hai conosciuto Luca. E’ il nuovo commesso, sostituisce Marta che
è andata in maternità.” Dice Claudia, la titolare del panificio. Ho un
sospetto… Gli appoggia una mano sulla spalla e strizzandogli l’occhio mi dice
“Sai, l’ho preso per incrementare le vendite della pasticceria, le donne non
sanno resistere a uno sguardo come il suo… avrò il panificio pieno!”
Luca allarga un sorriso smagliante seppur imperfetto. Il viso non
è giovane, è segnato, anche se non si capisce se dall’età o dalla vita. Ma ha
un certo non so che… difficile da interpretare, un fascino, qualcosa… unico
nella sua imperfezione, ma perfetto così com’è.
“Trattamela bene la Carla, Luca, che lei oltre a essere una buona
cliente è anche una mia amica!” si raccomanda Claudia. Luca, se può, allarga
ancora di più il suo sorriso e mi allunga i pacchettini col pane e il krapfen.
Vado alla cassa, pago ed esco voltandomi a guardare verso il banco.
Luca sta servendo un’altra cliente, ma alza lo sguardo e mi fa l’occhiolino. Di
rimando alzo le sopracciglia in cenno di saluto ed esco. Beh, forse la giornata è un po’
migliorata…
Arrivata in ufficio i doveri della routine mi assalgono e appena
verso metà mattina ho il tempo di respirare e godermi il mio krapfen. Il
pensiero torna a quei profondi occhi marroni. Che tipo strano Luca… è evidente
che non è un ragazzino, non è il tipico commesso che ti aspetteresti di trovare
in un panificio. Devo informarmi, scoprire qual è la sua storia... sono troppo
curiosa.
La giornata scorre come al solito carica di cose da fare,
frenetica fino al momento di uscire. Ed è sempre troppo tardi. Arrivo a casa
stufa del mondo, con lo stesso umore di quando ero uscita stamattina. Peccato
che l’effetto krapfen-Luca non sia durato… Come da cliché proseguo con la
noiosa vita di una single in carriera: a casa mi aspettano solo il gatto e la
cena da scaldare. Quindi mi accoccolo sul divano e aspetto di essere sfinita
abbastanza da accasciarmi sul letto svenuta.
La sveglia la mattina certe volte è un’agonia. Ma mi alzo lo
stesso. Indosso la tuta e vado a farmi la mia corsetta. Doccia, crema, trucco,
colazione. Pronta.
E ora….
"Un filoncino, per piacere"
“Niente krapfen oggi?” chiede Luca con un sorriso sornione.
“No, oggi no, rovinerei il beneficio della corsa”
“Corri?” incredulo, ma come si permette???
“Ti sembra tanto inverosimile?”
“No, si, cioè… scusa… non è che… insomma…beh…” imbarazzato. Beh, è
evidente. Non sono una silfide per cui si era fatto come tutti l’idea che io
fossi una da krapfen tutte le mattine e poi pasticci e schifezze. Sono
muscolosa, non sono una balena!
“Corro tutte le mattine, mi aiuta a schiarirmi le idee sul mondo e
mi prepara alla giornata. E non sono nemmeno tanto lenta!” rispondo piccata.
Mi sorride, Luca. Di cuore. Con una luce negli occhi.
“Anch’io corro tutte le mattine. Magari una volta potremmo farlo
insieme.”
“Perché no?”
Afferro il mio pane e vado.
Questi strani siparietti si susseguono giorno dopo giorno.
Prendiamo le misure tra una battuta e un piccolo svelamento. L’attrazione nel
frattempo cresce.
Scopro così che Luca è un ingegnere che lavorava per una grossa
azienda, che per motivi di famiglia non ha potuto accettare il trasferimento
all’estero quando l’azienda ha dovuto chiudere in Italia e delocalizzare. Si è
dovuto fermare qui per occuparsi di una zia che per lui è stata sia madre che
padre, dato che è orfano. Certo che a 40 anni trovarsi a fare il commesso in
panificio non se l’aspettava nemmeno lui, ma sua zia era amica della madre di
Claudia e per fortuna c’è stata questa possibilità, che al giorno d’oggi anche
gli ingegneri hanno difficoltà a trovare lavoro. Vive da solo,
nell’appartamento affianco alla zia, e con il cambio di lavoro ha anche dovuto
cambiare lo stile di vita, certo alcuni vizi li ha mantenuti, ma su tante cose
ha preferito tagliare. Così è diventato un cuoco provetto, rinunciando al
take-away e ha scoperto che la biblioteca comunale tiene molti dei libri che
lui adora. Invece del cinema si accontenta dei canali digitali, gli aperitivi
in centro sono stati tagliati e le uscite si sono ridotte a due al mese.
Insomma, fa la stessa vita che faccio io. Ma senza gatto.
"Un filoncino, per piacere"
Uno sguardo mi incenerisce. “Ti darei un altro tipo di filoncino,
io!”
Il tempo, l’aria, il mondo si sono fermati.
La bocca mi si è seccata di colpo. Settimane che ci parliamo
sobriamente di tutto. Settimane che durante la corsa del mattino mi guardo
intorno sperando di incontrarlo. Settimane che aspetto che faccia una mossa,
una qualsiasi. E ora ha lanciato questa bomba.
Chiudo la bocca. Faccio per dire qualcosa ma non viene niente. Mi
ha preso incredibilmente alla sprovvista. Beh, in effetti mi aspettavo che mi
invitasse fuori, non che mi offrisse così le sue dotazioni anatomiche. Come la
devo prendere? Come un gioco, uno scherzo, una boutade, o dice sul serio?
Sorrido, lo guardo diretto negli occhi con lo sguardo mio più
sensuale e vado:
“E com’è che me lo vorresti dare questo filoncino?”
“Oh… in tutti i modi che ti vengono in mente, e in alcuni che non
osi nemmeno immaginare…” il suo sguardo è fermo, la voce e l’espressione sono
serie, intense. Non sta scherzando. Non sta giocando.
Stiamo lanciando le basi per qualcosa di estremamente stuzzicante,
direi.
“Guarda che ho una buona dose di fantasia e di inventiva…”
replico.
“Pure io, credimi… e non ho più voglia di usare solo la fantasia…
ho voglia di te.”
PURE IO HO VOGLIA DI TE! MI FAREI PRENDERE ANCHE QUI SUL
BANCONE!!!! Ho voglia di gridarglielo, ma non mi pare il caso, in fin dei conti
siamo in un luogo pubblico.
“Che dici … a cena?” azzardo.
“No, non mi interessa cenare con te… voglio nutrirmi di te. Alle
8, da me. Non serve che ti vesti in modo particolare, tanto i vestiti te li
tolgo subito.”
Non ho potuto controbattere perché è entrata una cliente.
Certo una proposta così esplicita non è che mi sia capitata spesso.
Anzi.
Esco dal panificio trattenendo a stento l’eccitazione. Giro
l’angolo e mi devo fermare un attimo ad ascoltare il mio corpo. Il cuore
pulsante del mio corpo in questo momento è tra le gambe. Respira, freme, pulsa
e sfrigola. Stringo con forza le gambe e faccio partire così un brivido che
scuote il corpo dalla punta dei capelli alle dita dei piedi. Oh, che voglia
intensa.
Mi riprendo e vado al lavoro. Ma la giornata è difficile,
concentrarmi è difficile. Il pensiero torna a quegli occhi intensi e alle
parole che ho sentito:
“Oh… in tutti i modi che ti vengono in mente, e in alcuni che non
osi nemmeno immaginare…”
Finalmente è ora di andare a casa. Ho il tempo di farmi una doccia
e farmi un te.
Sono le 8. Ho le mani che mi tremano quando premo il pulsante del
citofono.
Non chiede chi è.
“Quarto” dice la sua voce dalla macchinetta.
Davanti all’ascensore sento che le gambe non mi tengono. Quelle
parole… è tutto il giorno che mi perseguitano. Non so se essere eccitata o
avere paura.
Mi aspetta sulla porta. Indossa solo un paio di boxer. Aderenti.
Che evidenziano che pure lui è eccitato quanto me.
Non diciamo una parola. Mi tira dentro e chiude la porta
appoggiandomici contro premendo il suo corpo sul mio, le sue labbra sulle mie,
affondando le dita tra i miei capelli, aggrappandosi a un mio fianco.
Un turbinio di sensazioni invadono il mio corpo. Frenetiche le
mani a togliere gli strati per liberare la pelle. I suoi occhi aperti fissi nei
miei. Le lingue che guizzano, le mani che esplorano.
Due dita stringono un capezzolo, lo tirano e lo tormentano. Io
gemo. Nella sua bocca.
“Mi senti?” dice dentro le mie labbra premendo il bacino contro il
mio “Mi senti?” stringendo con forza il capezzolo già sensibile
“Sssssiiii” gemo.
“Ti sto per prendere… ti sto per avere… sei pronta? Mi vuoi? Non
sarò dolce, ti avviso…”
“… si, Luca…” non riesco a dire altro.
La sua mano afferra una mia coscia e la tira su, lasciando così
accesso libero al mio sesso caldo e bagnato, aperto… la mano sale l’interno
coscia e va a inumidirsi le dita, mentre continua a baciarmi con gli occhi nei
miei e tirando leggermente in dietro la mia testa con una presa salda delle
dita tra i miei capelli. Si ritrae solo un attimo dal mio corpo, per permettere
al suo sesso di essere all’altezza giusta, appoggia la punta alla mia apertura
e con forza si spinge dentro di me.
Sono mesi dall’ultima volta che un uomo s’è fatto strada dentro di
me… mesi che non sento la tensione di un corpo sul mio. E dall’intensità con
cui lo sento, dalla sensazione di riempimento che mi sta dando, dal leggero
fastidio che provo mi sembra quasi come se fosse la prima volta in assoluto.
Mi prende così con forza, contro la porta, con affondi lunghi e
intensi, sbattendo con energia il suo corpo sul mio, tenendo la mia gamba
sollevata con il braccio mentre la mano stimola quella parte di pelle tra il
mio sesso e il mio buchino… mi morde le labbra, il collo…
Raccoglie i miei umori e si avvicina a dietro. Gemo, dico no…
“Tranquilla…” dice, mentre tra un colpo e l’altro, con un ritmo diverso,
inizia a violare il mio buchino con il dito. Piano e profondamente.
Mi manca il fiato. Non mi aspettavo un’aggressione di questo tipo.
“… no …” gemo di nuovo quando il suo dito inizia a seguire il
ritmo e la profondità delle penetrazioni.
A nulla serve…
“Se non ti piace smetto…” mi sibila nell’orecchio. Ma come posso
dirglielo… non è vero. Non è che non mi piace… mi piace molto quello che mi sta
facendo…
Gemo… guardo verso l’alto, guardo lui
“Continua…”
Questa singola mia parola sembra averlo caricato ancora di più,
sembra avergli dato un’iniezione di energia. Colpi forti e lunghi si susseguono
a ritmo variabile. Il mio corpo reagisce regalandomi brividi e scosse ogni
volta che siamo perfettamente compenetrati. Sono sulla soglia di un orgasmo che
prevedo potente, intenso e totalizzante…
Poi, di colpo, si stacca e mi priva di sé. Mi priva di
quell’orgasmo nell’istante in cui stava per esplodere.
“NO!” strillo.
“Questo era l’antipasto, bimba… Ora viene il bello…”
E mi prende in braccio e mi porta di peso in camera da letto….
questi panettieri....
RispondiEliminasfacciati, sì, hai ragione...
EliminaNon c'è più il pane di una volta...
RispondiEliminaE' la lievitazione che è diversa...
EliminaE da quando si dice lievitazione?
Eliminala ragione di tutto sta nelle troppe intolleranze al lievito in effetti... e credo sia colpa di fukushima... :)
RispondiEliminammmmmmm.....
Eliminafukushima è sempre la colpa di tutto
ma io non sono intollerante al lievito... ;)